La Piccola Regola
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Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, Dio onnipotente e misericordioso, alla beata Maria, Madre di Dio, sempre Vergine, Immacolata e Assunta, ai santi Angeli, a sant’Abramo, padre dei credenti, a san Giovanni Battista, precursore del Signore, ai santi Apostoli, a sant’Ignazio martire, a san Benedetto, a san Francesco d’Assisi e a santa Teresa di Gesù bambino, a san Petronio e ai santi Vitale e Agricola.
Col lume celeste, Signore, previenici sempre e dovunque, perché contempliamo con sguardo puro ed accogliamo con degno affetto il Mistero di cui Tu ci hai voluto partecipi. Per Cristo nostro Signore. Amen.(Postcom. Nella festa dell’Epifania)
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Il Mistero è l’Eucarestia del Cristo, nella quale è tutto: tutta la creazione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la grazia e la redenzione:12pt tutto Dio, il Padre il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù, Dio e Uomo, nell’atto operante in noi, della sua morte di croce, della sua risurrezione e ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno.
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La vita che non abbiamo scelto noi, ma per la quale da Misericordia siamo stati scelti, non può essere che questo: ogni giorno, per tutto il giorno, lasciarci prevenire dallo Spirito Santo a contemplare ed accogliere in noi il Mistero della Messa, che opera in ciascuno la morte della creatura e la risurrezione e glorificazione del Verbo Incarnato; mistero per il quale il Padre, per Gesù, nello Spirito Santo, sempre crea, santifica, vivifica, benedice e concede a noi questo bene della comunione con Lui e della comunità tra noi suoi figli.
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L’apertura al Dono è abbandono umile e totale: per la fede nel sangue di Cristo, per la speranza nel Padre ricco di misericordia, per la carità che è lo stesso Spirito Santo, l’Amore eterno, nel quale il Padre ci ha amati per primo e nel quale, soltanto, noi possiamo riamarlo con tutto il cuore e con tutta la vita, e possiamo amarci l’un l’altro e amare tutti gli uomini nell’unica Chiesa.
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Questo abbandono nasce dal consenso alla chiamata divina dato col promettere a Dio stabilità, obbedienza e conversione dei costumi. E’ voto di stabilità: per fede e gratitudine verso l’unica grazia che a tutti e a ciascuno è data nella comunità, per la quale siamo stati afferrati da Cristo Gesù, e per la quale siamo potati e lavorati finché il corpo della nostra miseria sia fatto conforme al corpo della sua gloria.
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E’ voto di obbedienza filiale, tutta sovrannaturale: che si fonda nella fede e si alimenta della certezza nell’infallibile risposta del Dio fedele alla pienezza della nostra docilità e all’umiltà della nostra preghiera per chi ci guida, nella devota sottomissione al mistero del Vescovo, del Papa e della Chiesa tutta.
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E’ impegno incessante alla conversione dei nostri costumi: che speriamo dall’insegnamento interiore e dall’azione operata in noi dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia accolte nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro.
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Il silenzio: è l’unica lode vera e degna, esso stesso puro dono di Dio, il silenzio interiore, che è progressivo venir meno di ogni fantasia, di ogni programma, di ogni apprensione per il futuro, di ogni pensiero non richiesto dal dovere immediato; dono che va invocato, predisposto e custodito con la fedeltà al silenzio esteriore: sempre e rigorosamente da Compieta all’Eucaristia; ancora sempre nelle ore di preghiera comune e di lavoro (salvo il minimo di comunicazioni richieste dal lavoro, purché siano le più essenziali e delicate possibili, rispettose del proprio e dell’altrui raccoglimento); e in ogni ora, ambiente e circostanza, con la mansuetudine, la mortificazione della curiosità, la riduzione abituale delle cose che verrebbe spontaneo dire, la rinuncia a parlare di sé, la preferenza progressiva per le parole e i concetti più semplici, più sereni e più pacificanti.
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La preghiera: in ogni forma e per ogni momento della giornata, può essere solo o preparazione o prolungamento dell’Eucaristia quindi non nostra ma di Gesù e della Chiesa in noi: nella celebrazione della Liturgia delle Ore come una cosa sola con la Messa; in due ore di orazione, di cui una almeno come lectio divina, prevalentemente intorno al capitolo quotidiano della Scrittura, che è il vincolo costante di unità e di pace dell’intera comunità; nel rosario, recitato col desiderio di essere uniti dall’abbraccio della Mamma celeste a tutti i Fratelli, specialmente ai più umili, ai più indotti, ai più bambini, e ai nostri Morti che già ci hanno preceduto in Paradiso; nella confessione frequente a un confessore abituale; nella giornata di silenzio e di preghiera, due volte al mese; in almeno due periodi di sette giorni di ritiro e di preghiera ogni anno.
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Il lavoro: è obbedienza, prolungamento dell’Eucaristia e della Liturgia delle Ore e oggetto normale della nostra offerta: quindi preordinato, custodito e compiuto con zelo religioso; strumento regolare della nostra mortificazione, del nostro amore per le anime e del nostro annuncio abituale, da preferirsi normalmente ad ogni altra penitenza o opera di bene. Salvo ragioni di salute, deve essere almeno di 35 ore alla settimana.
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Lode interiore e amore, preghiera e lavoro, custodiscono i voti di castità e povertà e sono da essi custoditi. I voti sono soltanto un’umile risposta, da approfondire incessantemente, ai due doni che solo il Cristo sposo può dare: il dono della verginità e il dono della povertà evangelica.
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Il voto e la virtù della castità ci portano: a fare governare dall’obbedienza ogni nostro rapporto; a mantenere il cuore distaccato da ogni affetto, anche il più santo, dalla stessa comunità; ad accogliere con gioia e gratitudine un’obbedienza per terre lontane e genti straniere alla nostra cultura e mentalità; e a sperare di essere scelti per la solitudine totale dello spirito, come pegno benedetto di una fecondità sovrannaturale nei confronti di molte anime.
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Il voto e la virtù della povertà ci impegnano: a non avere nessuna proprietà e a rinunciare secondo le indicazioni dell’obbedienza a quelle che comunque sopravvenissero; a lavorare per vivere e a versare alla comunità ogni nostro provento, ricevendo da essa il vitto, il vestito, l’abitazione e ogni oggetto d’uso; a consegnare totalmente l’impiego del tempo, che deve essere ritenuto non nostro, ma di Dio e della Chiesa; a desiderare ardentemente e a sperare, non solo per ognuno singolarmente, ma anche per la famiglia nel suo insieme e per sempre, il dono della povertà evangelica, che spoglia da ogni ricchezza materiale ed intellettuale, e accomuna ai minimi e ai poveri di Gesù.
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Queste poche norme non sono la Regola: la nostra Regola va ricavata dall’assidua e amorosa meditazione dell’Evangelo (specialmente dei vangeli della Passione e della Risurrezione, che leggeremo e considereremo almeno una volta alla settimana).
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La Regola va pure attinta dalla predilezione fiduciosa per quattro Santi: Sant’Ignazio martire, San Benedetto, San Francesco e Santa Teresa di Gesù Bambino, dei quali rileggeremo gli scritti per trovare: nelle lettere di S. Ignazio l’invito all’amore per il corpo di Cristo nella sua Chiesa: specialmente nei Sacerdoti, nel Vescovo e nella comunione tra i Vescovi e tra le Chiese; nella Regola di S. Benedetto il senso della comunità come famiglia sovrannaturale che si rigenera ogni giorno nella divina Liturgia, e dell’obbedienza filiale; negli scritti di S. Francesco l’alimento a un desiderio sempre più forte di semplicità e di povertà evangelica; nell’autobiografia e nelle lettere di Santa Teresina il modello e la forza per la ricerca esclusiva di Dio solo: Padre, Figlio e Spirito Santo, e per l’abbandono infantile al suo Amore misericordioso.
31- Nota Integrante
Le lettere di sant’Ignazio ci invitano a spendere la vita (fino al martirio, se ce ne fosse fatta grazia) per glorificare il Cristo. che ha glorificato noi. Gesù è il Cristo, unico ed indivisibile, carnale e spirituale, generato ed ingenerato, Dio venuto in carne, nella morte vita vera, da Maria Vergine e da Dio,prima passibile ed ora impassibile. L’amore per Lui è inseparabilmente anche amore per il suo Corpo, che è la Chiesa. cioè per tutto il popolo dei rigenerati nel sangue di Dio, e specialmente per i diaconi, per i presbiteri, per il Vescovo, e per l’armonica ricchezza delle Chiese e dei loro Vescovi.
La Regola di san Benedetto ci dà il senso vero della comunità come scuola di servizio divino e come famiglia sovrannaturale, in cui nulla si antepone a Cristo e in Lui ci si ama di casto amore: famiglia che nasce e si rigenera ogni giorno nella divina Liturgia e nell’obbedienza figliale e reciproca, nella Lectio divina, nel lavoro fraternamente concorde e responsabile.
Gli scritti di san Francesco ci educano alla passione ardente per L’Evangelo senza glossa e per il prezioso Corpo e Sangue, fuori del quale niente altro vediamo corporalmente del Figlio di Dio. in questo secolo. L’Evangelo e il Corpo e il Sangue del Signore ci debbono portare a un desiderio sempre più forte ed efficace di povertà effettiva, personale e comunitaria, e di spogliazione e sottomissione a tutti per conformità d’amore al Crocefisso. Questo libererà il nostro cuore da ogni creatura, per poi tutte riceverle trasfigurate nella lode pura dell’Altissimo Signore, lode vissuta e comunicata a tutti gli uomini, a tutti i popoli, specialmente ai popoli non cristiani
Gli scritti di santa Teresa di Gesù Bambino ci offrono il modello e ci ispirano la forza per la ricerca assoluta di Dio solo, Padre, Figlio e Spirito Santo, e per l’abbandono infantile – sempre, anche nella prova e nella tenebra della stessa fede – al suo amore misericordioso e preveniente.
(dagli scritti della mamma)
L’osservanza della Regola non é la santità, ma la via per arrivarci. Dobbiamo però associare la pratica della legge con l’amore, perché il precetto principale che tutto riassume insegna che dobbiamo amarci.